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Mediterranea chiede l’interruzione degli accordi Italia-Libia


Dal rumore di un governo che forte ha gridato per affermare la paura, l’invasione, la percezione di insicurezza di cui si è nutrito, assistiamo ora al silenzio. Silenzio che si percepisce su quelle navi delle ONG e della società civile ormeggiate ad un molo poiché sequestrate ed impossibilitate, ancora, a partire. Silenzio che ai è sentito sull’Ocean Vicking e sull’Alan Kurdi, che al posto di trovare un porto sicuro di immediato sbarco hanno navigato per diversi giorni di fronte alla costa, poiché alcuna risposta alla loro richiesta è stata fornita.

Ma non solo. Il silenzio rappresenta proprio ciò che il prossimo 2 novembre renderà automatica la proroga del Memorandum d’intesa siglato nel febbraio del 2017 tra Italia e Libia. Accordo sulla base del quale l’Italia continua (e potrebbe continuare) a sostenere con milioni di euro la cosiddetta Guardia Costiera libica e la gestione in loco di centri di detenzione.

L’esternalizzazione delle frontiere non è l’innovativa soluzione al problema della gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo. Essa è una strategia strutturale nella difesa dei confini dell’Europa, impiegata da anni in molte forme e con alleati sempre diversi.

Il patto Italia-Libia del 2 febbraio del 2017 stipulato dal governo Gentiloni con il supporto economico dell’Europa e riconfermato lo scorso anno dal governo giallo-verde, si inscrive esattamente in questo contesto.

C’è una linea rossa ben visibile che attraversa tutti gli accordi citati: la violenza, le violazioni dei diritti umani ed i soprusi che in seguito alla loro stipula si manifestano sui confini, ove le persone diventano merce e la loro presenza, spesso, è oggetto di prove di forza e speculazioni. Gli accordi con la Libia, dai più ai meno risalenti, hanno reso il Mediterraneo una delle frontiere più letali del nostro tempo, affidando a milizie e reti mafiose la vita di centinaia di donne uomini e bambini in fuga, arrivati a sentire la terra un posto meno sicuro del mare.

Non è pensabile continuare ad osservare, inermi, le continue violazioni del diritto internazionale ed i continui processi di mistificazione della realtà, che equiparano la Libia ad un Paese con cui interloquire a livello nazionale ed europeo. La Libia è un Paese in guerra, la cui credibilità e legittimità nella gestione delle migrazioni trova fondamento proprio nella collaborazione con l’Italia e l’Europa: dall’auto proclamazione di una zona SAR nel giugno del 2018, alla formazione di una guardia costiera e la fornitura di mezzi ed armi, arrivando, addirittura, alla promulgazione di un codice di condotta libico.

Notizia di oggi, infatti, è un atto redatto da una delle due parti in guerra in Libia su chiaro stampo del codice di condotta proposto da Minniti, volto non solo ad ostacolare il lavoro di chi opera in mare, ma ad annientarne proprio l’operato, tramite gravi intimidazioni e minacce. Quelle minacce armate che abbiamo visto proprio pochi giorni fa essere perpetrate contro l’equipaggio della Alan Kurdi e le 92 persone migranti soccorse, prese di mira dagli spari delle mitragliette della guardia costiera libica.

Le ragioni che dovrebbero spingere verso la chiusura degli accordi con la Libia e non la loro riproposizione, dunque, sono tali ed evidenti che chi si rifiuterà di farlo si renderà inevitabilmente complice di questi criminali

È il tempo per noi di decidere da che parte stare: dalla parte di organizzazioni mafiose e criminali come le milizie libiche e chi – rumorosamente o silenziosamente – li supporta? O dalla parte di quei movimenti che lottano ogni giorno per la libertà di tutte e tutti noi, portatrici e portatori di un messaggio di vita, solidarietà e determinazione? È il tempo di chiarire le proprie posizioni, di togliersi dalle ambiguità e di avere finalmente il coraggio di condurre politiche più giuste e umane, che costruiscano canali umanitari e vie d’ingresso sicure per le miglia di persone in fuga.

Il governo italiano ha la responsabilità di definire la propria posizione e di agire affinché il Memorandum non venga riaffermato. Mediterranea, e tutte le persone che la animano e sostengono, chiedono apertamente al governo italiano ed al Ministro dell’Interno un concreto segno di discontinuità.

Da oggi al 2 Novembre mobilitiamoci contro gli gli accordi Italia- Libia: troviamoci in presidi nei nostri territori, organizziamo azioni e flash mob, riempiamo le strade e le piazze per affermare il nostro dissenso e dimostrare che l’Italia non è fatta solo di gente che si nutre di odio e paura, ma di persone che credono ancora in a una società libera, umana, ed alla fine anche più felice.

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