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Abbiamo bisogno di Mediterranea per non annegare


DAL SITO DI MEDITERRANEA

Pubblichiamo una bellissima lettera di invito perMediterranea Saving Humans da parte delcoordinamento Senza frontiere di Castell’Umberto, suiNebrodi. Un invito che accettiamo con gioia egratitudine, in cui è scritto “abbiamo bisogno cheMediterranea salvi anche noi“. Ma sono proprioesperienze di straordinaria umanità quotidiana, comequella di Castell’Umberto, a mettere ognuno di noi insalvo dall’incattivimento e dalla solitudine su cuiattecchiscono i razzismi.

È passato più di un anno da quello che divenne un “famoso venerdì di metà luglio 2017“.

Nato con la stessa magica alba di una qualunque giornata d’estate sui nostri monti nebrodi, terminato con un tanto forte, quanto ingestibile, moto di anime.

Quella notte, sulla nostra comunità si è scaraventatotutto il peso della “mercificazione” dell’essere umano. Cinquanta persone, nel buio e nel silenzio della notte, sono state “trasportate” in quello che fu l’“Hotel il Canguro”, una struttura ricettiva dismessa che, pur essendo posizionata su una particella catastale sotto il controllo burocratico dellimitrofo comune di Sinagra, si trova, di fatto, ad un passo dal centro del nostro piccolo paese, Castell’Umberto.

L’accoglienza non è stata delle migliori, tanto che, per qualche giorno, il nome della nostra piccola cittadina venne “sbattuto” sulle prime pagine di innumerevoli testate giornalistiche nazionali ed internazionali. Quelluglio sembrava che fossimo diventati la città più razzista d’Italia e d’Europa, era venuta anche la BBC a raccontare del nostro paese e delle sue barricate.

Sono stati giorni confusi, giorni durante i quali i cinquanta ragazzi raramente uscirono dalla struttura che li ospitava per paura di rappresaglie da parte di un piccolissimo gruppo di uomini che, autoproclamatisidifensori di donne, bambini e cittadini tutti, decisero di “picchettare”, giorno e notte, l’ingresso della struttura.

Ci siamo resi conto di quanto orrenda fosse la sensazione di vivere in un posto che, all’improvviso, rigurgitava razzismo. Di colpo i nostri concittadiniparlavano di forni crematori, di ruspe, di fucili, di stermini.

In quel clima, l’idiota che prima si sarebbe vergognato a dire certe cose si è sentito legittimato. Vivere queste sensazioni in una piccola comunità era insostenibile; eravamo sull’orlo del baratro, e su quell’orlo abbiamo raccolto ogni briciola di lucidità rimasta ed abbiamo capito che se tutto fosse passato in silenzio, non sarebbe più stato possibile tornare indietro.

Abbiamo deciso di reagire nonostante tanti fossero gli attestati di stima e le dichiarazioni di solidarietà, tra i quali spiccavano quelli diCasa Pound, Forza Nuova e Matteo Salvini. Lo stesso Matteo Salvini che voleva “lavarci con la lava”, all’improvviso si era svegliato twittando “solidarietà a Castell’Umberto”. Un modo per speculare, in maniera razzista e per soli fini elettorali, su una vicenda che stava facendo fare i conti con umanità e paura a quasi tremila anime.

Sin dal primo istante, abbiamo sentito il bisogno di urlare a gran voce che il nostro paese è umano, ed a passare per razzista non ci sta proprio. Che nessuno di noi era ciò che volevano far apparire per becere ragioni di visibilità.

Provando a tenere saldi i piedi per terra, e ben stretto il cuore in mano, siamo corsi alla struttara ed abbiamo riempito le inferriate di cartelli di “benvenuto” per le persone arrivate, e di “arrivederci” per i 25 che, poco dopo, vennero “trasportati e smistati” in altre strutture presenti sulla provincia.

Lo abbiamo fatto per dire che ”la solidarietà non ha scuse” e che quella è Castell’Umberto. Tuttavia,occorreva prendere consapevolezza del fatto che nella comunità stava emergendo un sentimento razzista, e che quella vicenda aveva scatenato le pulsioni più basse portando fuori, anche nel ridente comune dei nebrodi, l’emergenza culturale dell’Italia tutta.

Sentivamo il forte bisogno di ri-conoscerci nell’umanità, di tornare ad avere salda la certezza che tutti noi siamo umani. Quello era il momento di fermarsi, prendere aria, far pace con le nostre radici.

Era il momento in cui non si poteva più dire “Non sono razzista, ma”, in quel momento quei “ma” non erano ammessi. In meno di 48 ore abbiamo convocato un’assemblea cittadina, volevamo che tutti i cittadini avessero la possibilità di argomentare quell’assordante “ma”.La sala consiliare ed i corridoi del Comune erano colmi di gente accorsa da tutto il paese e dai paesi limitrofi, la diretta streaming ha avuto problemi per l’alto numero di utenti connessi.

Era arrivato il tempo di tracciare una linea e definire con chiarezza i nostri istinti.

In quei momenti tumultuosi e confusi, illuminati dai riflettori di innumerevoli testate giornalistiche nazionali ed internazionali che altro non aspettavano se non di appioppare alla nostra piccola comunità l’emblema dell’italia razzista, si è formato il Coordinamento Senza Frontiere.

Per noi, quel 14 luglio, questi ragazzi erano dei visi sconosciuti difficili da distinguere, dei nomi troppo complicati da pronunciare, e degli occhi pieni di paure e speranze impossibili da comprendere e decifrare.

Anche noi, per loro, eravamo nulla di più di tutto questo.

Giorno dopo giorno, fra feste di compleanno e cinema, lezioni di italiano (per loro) e lezioni di inglese (per noi), fra una partita a pallone ed una gara al gioco del fazzoletto, non ci siamo solamente conosciuti, ma siamo diventati amici, confidenti, rifugi.

Siamo diventati famiglia.

Ed una cosa straordinaria è successa: ad accogliere i ragazzi non sono stati i soli membri del nostro Coordinamento, ma quasi l’intera comunità umbertina. Grazie all’iniziativa “Aggiungi un posto a tavola”, da noi promossa e portata avanti per molti mesi, i ragazzi sono stati ospiti dei pranzi domenicali delle famiglie del paese.

Questa iniziativa ha permesso, anche a chi quei picchetti li aveva organizzati, di conoscere lo “straniero” e di non averne più paura.

Sulla linea di questi progetti abbiamo continuato ad operare fino ad oggi, senza alcuno spirito di carità, ma con la ferma convinzione di quanto sia importante lapromozione e la tutela dei diritti di ognuno, indipendentemente dalla parte del mondo in cui sia nato.

Questo è l‘ideale comune intorno al quale operiamo quotidianamente insieme adulti e bambini con storie e percorsi culturali, politici, sociali e religiosi davvero molto differenti tra loro.

Oggi nessuno di noi è più un volto uguale a tutti gli altri, ogni viso ha il suo nome (non più così complicato da pronunciare) e la sua storia.

Storie e vite che, in questo anno, si sono intrecciate tra loro in modo speciale ed hanno permesso che di quei giorni tumultuosi, trascorsi tra barricate, tensioni e attenzioni da parte dell’opinione pubblica, non rimanesse più niente. Oggi ci tiene insieme un filo che, in poco più di un anno, è diventato indissolubile e così aggrovigliato da non essere più capaci di individuarne il bandolo.

Forse, quel bandolo, non vogliamo proprio trovarlo.

Questi sono giorni in cui viviamo l’insostenibile peso di dover tranquillizzare gli animi dei nostri amici che tra qualche giorno verranno portati via. Forse verranno portati via nel silenzio della notte, come sono arrivati, trattati come merci.

Se per le istituzioni nulla è cambiato rispetto a quel 14 luglio 2017, per noi è cambiato tutto, e quel tutto è una grande e coloratissima matassa di vite ed emozioni che, con tanta fatica, abbiamo costruito insieme.

Una matassa dentro cui le nostre emozioni si mescolano e si amalgamano alle loro emozioni, le nostre paure si mescolano e si amalgamano alle loro paure. E noi non sappiamo più distinguere il bene delle nostre azioni dal male delle loro conseguenze.

E adesso che qualcuno ha deciso di allontanarci tutti dalle nostre vite, noi abbiamo paura di non essere più capaci di tornare indietro. Di non saper ritornare alla normalità del 13 luglio 2017.

Stiamo facendo tutto il possibile per aiutare tutti i ragazzi a rimanere in quello che, per loro, è l’unico posto in cui hanno trovato un po’ di pace dopo lungo tempo. L’unico luogo dal quale non sentono il bisogno di fuggire, l’unico luogo in cui si sentono al sicuro.

Purtroppo, i deboli e poco numerosi mezzi che abbiamo a disposizione, da piccolissima comunità, non ci permettono di aiutarli tutti.

Come possiamo continuare a considerare positiva la costruzione di un legame che sia fonte di serenità a fronte di un ennesimo trauma causato dall’interruzione di questo stesso legame a causa di politiche che si ostinano a trattare esseri umani alla stregua di merci?

Abbiamo deciso di saltare quella linea e di prendere una chiara posizione sull’umanità, ma non sapevamo che questa scelta avrebbe condizionato così tanto, ed in così poco tempo, le nostre vite da farci uscire perdenti dalla sovrumana lotta per mantenere saldi razionalità e lucidità.

Siamo consapevoli che, tornando indietro, non muoveremmo un solo passo in modo diverso o in modo più incerto, ma abbiamo paura che le conseguenze di tutto questo ci piombino addosso con una potenza troppo grande da poter sostenere.

Abbiamo bisogno che Mediterranea salvi anche noi da questa deframmentazione dello spirito che stiamo vivendo in questi giorni.

Abbiamo bisogno di salire anche noi sulla Mare Jonio per rimanere razionali, lucidi e non annegare.

Per ricordarci che non siamo soli in questa resistenza.

Per questi, e per tanti altri motivi, avremmo il piacere di invitarvi, giorno 10 novembre 2018, a presentare il progetto

Mediterranea Saving Humans sui nebrodi.

Castell’Umberto, 27.10.2018

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